21. Un cittadino può diffidare il Comune dall’utilizzo dei suoi dati?

Un cittadino, richiamando il GDPR e dichiarandosi “titolare esclusivo delle proprie generalità” ha trasmesso al Comune una diffida formale dall’utilizzo dei suoi dati personali, nonché da eventuali comunicazioni a lui indirizzate e richiesto la cancellazione da tutti gli archivi dell’ente. Siamo certi che ciò non è possibile, ma Le chiediamo come rispondere.


Purtroppo il convincimento espresso dal cittadino è diffuso a causa della confusione, generata anche da alcuni “esperti” (persino DPO) che non sempre hanno contezza della differenza, nel trattamento dei dati personali, tra pubbliche amministrazioni e operatori privati. 

Al riguardo è opportuno richiamare l’art. 6, del GDPR, laddove nel comma 1 sono indicati i casi di liceità del trattamento. Da evidenziare che tale comma attribuisce la liceità, (lettera c) quando “il trattamento è necessario per adempiere un obbligo legale”, e (lettera e) quando “il trattamento è necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri”.
In tali casi, quindi, ogni trattamento è da considerarsi “lecito” e non richiede il consenso dell’interessato.

A conferma di ciò il successivo comma 3 richiede, infatti, che la finalità del trattamento sia “necessaria” per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il Titolare del trattamento.
Da ciò discende che, laddove l’attività dell’ente rientri tra le finalità prima evidenziate viene esercitata senza il ricorso al consenso da parte degli interessati.
Tale consenso, invece, è prescritto per le restanti attività, diverse da quelle elencate nell’art. 6, ed è previsto nel successivo art. 7 che reca nella rubrica “condizioni per il consenso”.
E’ lo stesso art. 7, infatti, che nel primo periodo esplicita di disciplinare esclusivamente tutte le attività “qualora il trattamento sia basato sul consenso”.
Da ciò discende che esistono due tipi di trattamento: a) quello disciplinato dall’art. 6, di natura istituzionale, per il quale non è previsto il consenso dell’interessato; b) quello basato sul consenso dell’interessato.
Quanto sopra, peraltro, è particolarmente comprensibile poiché, laddove si consentisse ad un cittadino di potersi sottrarre alle comunicazioni di tipo istituzionale, si correrebbe il rischio di non potere espletare gli ordinari compiti in ordine ai diritti civili, così come agli obblighi conseguenti, nonché a eventuali sanzioni che siano state comminate.
Da ciò discende che la comunicazione inoltrata dal cittadino non può trovare alcun accoglimento, se non la garanzia che le informazioni relative alla sua persona saranno trattate nel pieno rispetto dei principi contenuti nel GDPR quali, in particolare modo, liceità, correttezza, trasparenza, limitazione della finalità, minimizzazione dei dati, esattezza, limitazione della conservazione, integrità e riservatezza nonché responsabilizzazione in ordine alle modalità di trattamento.

Resta intesa che la diffida può essere espressa dal cittadino tutte le volte che l’attività dell’ente non rientri nelle previsioni contenute nell’articolo 6 del GDPR.

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