pagina Facebook

650
Santo Fabiano
pagina personale che raccoglie i contributi, sia professionali, sia di altra natura
IL CONFLITTO E IL PROGETTO
Diciamo subito che il "conflitto" esercita una forza di aggregazione decisamente superiore rispetto a qualsiasi progetto.
Provate a scende in piazza "contro" qualcuno e troverete schiere di seguaci convinti, anche prima di sapere contro chi si manifesta.
Se invece organizzate un evento per presentare un "progetto", farete fatica a trovare qualcuno disposto a seguirvi.
Se non ci sono slogan da urlare, accuse da lanciare, minacce da mostrare e persone specifiche verso cui rivolgere insulti, la manifestazione non riesce.
Certamente non si può trascurare il fatto che il coinvolgimento emotivo di una protesta, specie se accesa e arricchita da promessi di immediati rivolgimenti, è forte e non regge il paragone con l'emozione che può destare un buon progetto, anche il più elevato.
Anzi, più elevato è il progetto, meno condivisioni raccoglie, fatta eccezione di chi si accende e si appassiona per i "massimi sistemi". Ma questi sono quelli che si fa fatica a trovare disponibili nella organizzazione delle azioni concrete.
Ciò dipende anche da una sorta di sfiducia sulla realizzazione di qualcosa che vada oltre l'immediato. Progettare, costruire, negoziare, organizzare, è complesso e richiede determinazione e competenza.
Ma dipende anche da una sorta di propensione a dare più importanza a chi si lamenta rispetto a chi progetta.
Se vi presentate in un ufficio e annunciate una protesta, ci sono buone possibilità che qualcuno vi ascolti e vi riceva, mettendo tutto da parte e considerando ciò che dite come un'emergenza prioritaria.
Se invece vi presentate proponendo un progetto, anche sensato e utile, ben strutturato e persino realizzabile, troverete un muro di indisponibilità, distrazioni, adempimenti, impegni, ecc. Per non parlare di quelli che avrebbero comunque delle proposte emendanti che sposterebbero ogni cosa molto in là.
È per questa ragione che viviamo in una società "emotiva" in cui le leggi vengono proposte e adottate come atti di forza e sulla spinta di argomenti "di moda", non per costruire, ma per prevalere o regolare conti con il passato.
Anche le riforme non sono adottate per mettere ordine o per organizzare, ma per definire confini, limiti, vincoli, sanzioni.
Da diversi anni non si governa più con una "visione". E se qualcuno la manifesta viene deriso perchè "poco prammatico". Trascurando il fatto che proprio il "pragmatismo" ci ha portato ad abbassare valori e tutele e vivere solo di rivendicazioni personali, in un sistema sociale dove "la somma non fa il totale".
Sono lontani i tempi in cui Martin Luther King annunciava di avere "fatto un sogno" e su quello fondare una visione politica.
Se oggi un politico (quelli che le mode chiamano leader) dicesse di avere fatto un sogno, gli consiglierebbero di tornare a dormire e sarebbe argomento del frullatore dei sociale.
Ci lamentiamo tutti (i social sono una raccolta infinita di lagne sulla incapacità di condividere valori e intrattenere buone relazioni, quando non di ostentazione solitaria, persino del piatto di lasagne o della torta, o peggio della ostentazione del benessere banale) ma pochi sono disposti a indirizzare lo sguardo verso la direzione che appaga.
E così si preferisce condividere banali trasgressioni, passate per grandi scelte di vita. O persino ostentare il coraggio di essere volgari, come se non fosse anche quella una moda.
Quando invece serve il coraggio di costruire insieme un visione comune che ci consenta di appassionarci per la realizzazione di un progetto.
amzn.eu
Il volume ha lo scopo di illustrare in modo immediato e diretto le disposizioni del codice di comportamento e i principi base di etica pubblica, rivolgendosi ai dipendenti pubblici attraverso l'illust...
QUANTO GUADAGNA "CHI FIRMA" E "CHI FERMA"
Mentre siamo tutti sommersi dai buoni propositi per la semplificazione e lo snellimento nella pubblica amministrazione e il ministro Brunetta afferma che il problema riguarda la “organizzazione delle risorse umane” e la digitalizzazione, il Sole 24 Ore pubblica un dato che tutti temevamo di avere intuito, ma senza la forza dei numeri.
Il dato riguarda gli stipendi delle Pubbliche Amministrazioni. Dalle banche dati dell’ARAN, l’agenzia nazionale che rappresenta le pubblica amministrazione nelle relazioni con il sindacato, risulta che gli stipendi più bassi sono percepiti dai dipendenti delle Regioni e degli Enti locali (Comuni e Province), mente quelli più alti, oltre tre volte di più, sono quelli percepiti dai dipendenti delle Autorità indipendenti. I primi arrivano a una media di 30.000,00 euro lordi annui, mentre i secondi superano i 90.000,00 annui.
Il dato è ancora più grave se gli stipendi dei dipendenti comunali e provinciali si separano da quelli dei dipendenti regionali, poiché, in alcune regioni, soprattutto nei livelli più alti, i dipendenti riescono a ottenete compensi maggiori. Quindi alzano il dato medio che se riferito solo ai Comuni e alle Provincie sarebbe più basso.
Ebbene, poiché l’articolo 118 della nostra Costituzione afferma che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni” e che “i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale”, viene da chiedersi come mai chi sta “in prima linea”, a contatto con i cittadini e assicura il funzionamento della pubblica amministrazione, assumendo la responsabilità diretta delle proprie azioni, debba essere remunerato molto meno rispetto a chi, invece, svolge una funzione di indirizzo e coordinamento, senza alcuna responsabilità. E per questa funzione, lontana dai bisogni reali del Paese, percepisce fino a tre volte di più, in media, quindi di più in valore assoluto.
Non serve un grande esperto e nemmeno un luminare per comprendere che se in un processo di lavoro si premia chi controlla, senza alcuna responsabilità, più di chi produce e risponde di ciò che fa, inevitabilmente si ottiene un sistema fine a se stesso, schiacciato dagli adempimenti e lontano da ogni logica di efficienza ed efficacia.
È come quella vecchia barzelletta di quell’equipaggio di canottieri che non riusciva a vincere e dopo avere chiesto la soluzione a una società di consulenza, si decide di sostituire tre componenti dell’equipaggio con un esperto di rotte, un esperto di risorse umane galleggianti e un coordinatore per pianificare le attività dell’equipaggio. Alla fine della gara quell’imbarcazione perde miseramente, nonostante sia stato elaborato un Gantt sulle azioni necessarie, un foglio di calcolo sugli indicatori di performance e gli staff meeting prima e durante la prestazione. Ma colpa dell’insuccesso viene attribuita all’unico canottiere con remava, poichè il compito degli altri era solo di progettazione e coordinamento. I primi tre, quindi, hanno raggiunto l’obiettivo e sono ampiamente remunerati, anche in ragione della loro provenienza autorevole. L’ultimo, invece, quello che è ha faticato da solo, viene privato di ogni compenso perché non ha raggiunto l’obiettivo. E magari punito.
Credo che l’esempio renda in pieno la situazione della nostra pubblica amministrazione dove chi lavora, si espone e firma, viene compensato in modo appena decente e sottoposto a costanti controlli e valutazioni, mentre chi decide piani, rotte e coordina o sanziona e “appesantisce” l’equipaggio e il processo, viene premiato e ottiene persino alte considerazioni.
Vogliamo fare una vera rivoluzione organizzativa? Cominciamo da qui: paghiamo “chi firma” più di “chi ferma” o comunque distribuiamo tra questi la responsabilità sul risultato conseguito.
P.S. Nessuno è sorpreso del fatto che il tema non è nell’agenda di alcun sindacato.
IL PASSO PIÙ LUNGO DELLA STAMPA
Il mondo si sta accendendo, le rivolte di popolo dilagano anche dove manifestare é rischioso, e possiamo affermare, senza il pericolo di essere smentiti, che la nostra era di benessere é seriamente compromessa.
Lo é perché l’abbiamo fondata sulla prevaricazione legittimata (lo sfruttamento di altri Paesi più deboli) sulla trasformazione delle disgrazie di alcuni in profitto per altri (“giocare” in borsa vuol dire questo) sull’utilizzo politico delle vicende globali (guerre per esportare la democrazia e altre per regolare equilibri) sulla spettacolarizzazione della società (l’impegno più alto sono i monologhi a Sanremo tra una esibizione e l’altra) sulla ipocrisia nell’uso della democrazia fondata sugli slogan a favore degli ultimi, ma governata solo da rappresentanti del capitalismo globale (tutti gli ambiti sociali sono rappresentati da una sola classe con leader che fingono di essere diversi fra loro, ma sono perfettamente uguali).
Tutto questo ci spinge verso un disorientamento esistenziale che fa emergere il bisogno di verità. Che é affidata agli organi di stampa la cui permeabilità a interessi esterni, a pressioni politiche e a propaganda di vario genere, é ormai palese. Fino a presentare con lo stesso tono una tragedia e una promozione pubblicitaria, le previsioni del tempo e immagini di disastri, la partita di pallone e gli sfollati dopo un terremoto.
Come diceva Mc Luhan, siamo disinformati per eccesso di notizie. E si tratta di un sistema di informazione freddo e calcolatore che non dà notizie, ma crea prodotti secondo i voleri di chi ci vuole orientare in un modo o nell’altro, a favore o contro o semplicemente distrarre, per evitare il rischio di avere una opinione propria.
Perché una collettività schierata con posizioni preconfezionate é piu facile da gestire e manipolare.
É invece difficile governare popoli che sanno formare le proprie opinioni anche in modo diverso persino rispetto ai giornali che leggono o agli opinionisti che apprezzano, prendendo le distanze dalla pigrizia della posizione.
Una specie di ”critica della ragione raccontata” per dirla con Kant per accendere la capacità di vedere oltre al triste orizzonte che la stampa ci propone.
RETORICA E VITTIMISMO
Dunque il presidente cinese, nonché segretario del partito, viene rieletto per la terza volta consecutiva e all’unanimità (con zero no). E dichiara di sentirsi “accerchiato”.
Certamente la dittatura deve essere una di quelle dipendenze che non riesce ad appagare gli animi e si alimenta con l’ingordigia e il desiderio permanente di affermarsi e di estendersi. Ma soprattutto con la pretesa di non incontrare ostacoli al proprio dominio, né etici, né fisici.
E così la protezione dalla sua invasione tacita del mondo intero e persino la democrazia degli altri appaiono come ostacoli alla espansione, e vengono disegnati come un “accerchiamento” o persino un’aggressione.
Viene in mente Matteo Messina Denaro che dopo avere causato stragi disumane afferma di essere vittima di uno stato aggressore.
La nostra era ha questa cifra: la retorica al servizio del male.
Ed é una retorica spietata che vive di apparenza e ostentazione dei valori, abbacinando con affermazioni che hanno lo scopo di portare lo sguardo e le coscienze lontane dalla realtà.
É come se, dopo essersi impossessati del mondo delle cose, avessero invaso il mondo delle parole e le avessero sottomesse. E così i termini e i simboli della libertà e persino della rivoluzione popolare vengono indossati dai dittatori e addomesticati al loro servizio, collocandosi così dalla parte del “giusto” e del “bene”.
Bisognerebbe trovare parole nuove e diverse. Ma servono coscienze libere e raffinate che sappiamo guardare la realtà nel profondo e coglierne i particolari.
Perché, come diceva il Piccolo Principe, ciò che conta sfugge agli occhi.
Total Page Visits: 16 - Today Page Visits: 1