14. I consiglieri comunali possono accedere ai pareri richiesti dall’Amministrazione ?
Sull’argomento si è già espresso il Ministero dell’Interno, con un proprio parere, il 13 febbraio 2004 (link) affermando che l’accesso dei consiglieri comunali e provinciali agli atti amministrativi dell’ente locale -disciplinato dall’art.43 del T.U.E.L. n.267/2000- risulta particolarmente tutelato, in quanto volto a consentire un pieno ed agevole espletamento del mandato, garantendo agli stessi di ottenere dagli uffici tutte le notizie utili a tal fine.
Dalla titolarità del diritto di accesso del consigliere comunale, discende inoltre l’assenza dell’onere della motivazione da parte del consigliere, come più volte confermato dallo stesso Consiglio ( vedasi sia la sentenza del 13 novembre 2002, n. 6293, sia la sentenza n. 5109 del 26 settembre 2000).
L’esercizio del suddetto diritto, però, si configura come funzionale allo svolgimento dei compiti istituzionali.
Dall’ampia legittimazione del diritto di accesso da parte di un consigliere comunale, non consegue, infatti, che la posizione sostanziale fatta valere dallo stesso sia definibile quale ‘diritto generalizzato ed indiscriminato ad ottenere qualsiasi tipo di atto dell’Ente’ (Commissione per l’accesso ai documenti ed anche C.d.S., sez. V, 8 settembre 1994, n. 976).
Conseguentemente, i dati acquisiti devono essere utilizzati effettivamente per le sole finalità del mandato e non per fini personali, in osservanza del dovere del segreto d’ufficio cui anche i consiglieri sono tenuti, nel rispetto dei principi di pertinenza e di non eccedenza (C.d.S., sez. V, 26 settembre 2000, n. 5109).
Già con la sentenza del 2 aprile 2001, n. 1893 e successivamente in data 26 settembre 2000, n. 5105, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la posizione dei consiglieri comunali non possa essere talmente privilegiata da consentire loro l’accesso a tutti i documenti, anche segreti, dell’amministrazione, assumendo solo l’obbligo di non divulgare le relative notizie.
Altrimenti, un accesso ai documenti da parte del consigliere comunale, ritenuto prevalente anche sul segreto professionale, verrebbe ad assumere una portata oggettiva più ampia di quella riconosciuta ai cittadini ed ai titolari di posizioni giuridiche differenziate (pure comprensive di situazioni protette a livello costituzionale).
Si afferma, infatti, nelle citate pronunce della sezione V, che il mandato politico-amministrativo affidato al consigliere, pur esprimendo il principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività non può, nell’attuale contesto normativo, autorizzare un privilegio così marcato, a scapito degli altri soggetti interessati alla conoscenza dei documenti amministrativi, con sacrificio degli interessi tutelati dalla normativa sul segreto.
Se ne deduce, così, che il diritto di accesso del consigliere comunale, da esercitarsi riguardo ai dati effettivamente utili all’esercizio del mandato ed ai soli fini di questo, deve essere coordinato con altre norme vigenti, come quelle che tutelano il segreto delle indagini penali o la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, nonché rispettando il dovere di segreto ‘nei casi espressamente determinati dalla legge’, e ‘i divieti di divulgazione dei dati personali’.
In tale ambito rientrano sicuramente gli atti redatti dai legali e dai professionisti in esecuzione di specifici rapporti di consulenza con l’Amministrazione, che può ricorrere alle consulenze legali esterne in diverse forme ed in diversi momenti della propria attività amministrativa.
Lo stesso Consiglio ha quindi ulteriormente evidenziato tre diverse fattispecie di parere legale, a seconda del contesto in cui lo stesso viene richiesto che influisce sulla disciplina dell’accesso ai documenti.
In primo luogo, si analizza l’ipotesi dei pareri e delle consulenze, richiesti nell’ambito di un’istruttoria volta all’adozione di un atto finale nel quale viene anche citato per motivarne l’adozione.
Si tratta quindi, di pareri legali con funzione endoprocedimentale che, pur traendo origine da un rapporto privatistico, caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente, risultano assoggettati all’accesso, in quanto oggettivamente correlati ad un procedimento amministrativo.
Altra ipotesi è quella in cui il ricorso alla consulenza avvenga a seguito di un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrario o amministrativo) oppure dopo l’avvio di attività precontenziose tipiche (tentativo obbligatorio di conciliazione) e sia, pertanto, finalizzato alla definizione di una strategia difensiva.
Infine, il Consiglio di Stato si sofferma su una terza ipotesi in cui si profila la possibilità che la richiesta di parere legale avvenga in una fase intermedia, successiva alla definizione del rapporto amministrativo all’esito del procedimento ma precedente l’instaurazione di un giudizio o l’avvio dell’eventuale procedimento contenzioso, in modo da consentire all’amministrazione di articolare una linea difensiva in ordine ad una potenziale lite.
In queste due ultime ipotesi, l’orientamento del Consiglio di Stato è che tali pareri legali, chiesti a fini difensivi, siano sottratti all’accesso e restino, pertanto, tutelati dal segreto.