COVID – le precauzioni negli uffici pubblici

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L’attuazione delle disposizioni governative riguardanti le “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19” comporta inevitabilmente complessità applicative, soprattutto riguardo a quelle attività per le quali possono profilarsi eventuali responsabilità in caso di diffusione del virus.

Le pubbliche amministrazioni, in particolar modo, si trovano nella condizione di dovere applicare misure di carattere emergenziale, dovendo garantire il funzionamento dei servizi e assicurando che, anche al loro interno, non vi siano focolai di diffusione del virus.

I temi, per il momento, sollevati possono raggrupparsi come segue:

  • l’accesso agli uffici: Se il contagio può verificarsi con la semplice frequentazione (il DPCM del 4 marzo recava la richiesta del “rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”) tale accortezza non può essere circoscritta soltanto alle manifestazioni pubbliche o private, ma riguarda anche gli uffici pubblici dove, inevitabilmente si verificano situazioni di contatto che, con riferimento all’allegato 1 dello stesso DPCM dovrebbero essere caratterizzate da comportamenti quali:
    • evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie
    • mantenimento, nei contatti sociali, di una distanza interpersonale di almeno un metro
    • evitare abbracci e strette di mano
    • ecc..

Tutto ciò può essere messo in atto, ma rimane il problema della regolazione degli accessi agli uffici pubblici. Al riguardo il Garante per la protezione dei dati personali con un proprio provvedimento (link) ha affermato che:”I datori di lavoro devono astenersi dal raccogliere… informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa.” e che “resta fermo l’obbligo del lavoratore di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.”

È evidente, tuttavia, che il datore di lavoro ha l’obbligo di mettere in atto ogni misura finalizzata alla prevenzione, sia per la tutela della salute dei dipendenti, sia per la salute dei cittadini che si recano presso gli uffici pubblici.

Il fenomeno non è da sottovalutare soprattutto riguardo a quelle attività amministrative soggette a scadenza o che comunque richiedono la presenza degli interessati presso gli uffici. C’è da domandarsi al riguardo quali precauzioni possa mettere in atto (o sia tenuto a mettere in atto) un datore di lavoro per salvaguardare la pubblica incolumità, senza incorrere nel giusto divieto evidenziato dal Garante.

Si ha notizia di qualche ufficio comunale che, nel dubbio, è stato chiuso al pubblico, proprio nella impossibilità di coniugare attività di prevenzione con la funzionalità e il trattamento di dati personali.

A giudizio di chi scrive, fa bene chi, nell’atto di acquisire l’identità che solitamente viene richiesta a chi accede agli uffici, si consegni a ogni persona una “informativa” (da non sottoscrivere) evidenziando gli obblighi prescritti per chi si trovi nelle condizioni prescritte dai provvedimenti governativi (stato influenzale, frequentazione di persone infette, provenienza da luoghi ritenuti infetti) e invitando ad attenervisi, anche informando delle conseguenze che la legge prescrive nel caso di inottemperanza ai “provvedimenti delle Autorità” (art. 650 del codice penale).

Così non si acquisisce alcuna informazione di carattere riservato, ma si ammonisce la persona ad attenersi alle prescrizioni, quanto meno, per. non sottovalutarle. Ho consigliato anche di consegnare, se richiesto, una copia dei DPCM, proprio alla scopo di rafforzare la funzione di informazione.

  • Giunte comunali on line: probabilmente era giunto il momento di passare alle modalità “remote” per la riunioni di Giunta comunale. Se l’obiettivo di quelle sedute consiste nella verifica della effettiva condivisione di una decisione, peraltro, trasfusa in un documento, non si comprende la ragione per la quale ciò dovesse richiedere la presenza contestuale. E non è ozioso fare riferimento a tutte quelle situazioni di “falso ideologico” che sono state contestate (giustamente) a chi ha attestato la presenza di persone che risultavano assenti. Ma perchè la Giunta possa tenersi in modo “agile” è necessario che ciò sia regolamentato, prevedendo le modalità di attuazione che garantiscano l’effettiva tracciabilità delle decisioni assunte. Tutto ciò è estremamente facile e fornisce garanzie maggiori degli atti in forma cartacea. Sono diversi gli strumenti che si possono utilizzare. Ed è consigliabile che si proceda alla registrazione delle decisioni assunte (non di tutta la seduta) possibilmente con la riproduzione dell’atto adottato. Anche se ciò potrà dispiacere a chi contava sulla possibilità di un successivo perfezionamento degli atti.
  • Consigli comunali a porte chiuse o in streaming: Certamente non sarebbe un buon segnale per la democrazia se, in questo momento di emergenza, si sospendessero le sedute di Consiglio Comunale, nel corso delle quali si possono condividere informazioni e decisioni importanti sulla vita cittadina. Tuttavia, proprio in applicazione delle disposizioni governative, sarebbe opportuno che tali sedute si tenessero “a porte chiuse”, per evitare gli “assembramenti” che i documenti raccomandano di non provocare. La soluzione adottata da qualcuno potrebbe essere quella di trasmettere le sedute del Consiglio comunale in streaming. Al riguardo si evidenzia, richiamando le disposizioni del Ministero dell’Interno e del Garante che ciò può avvenire esclusivamente a seguito della regolamentazione sull’utilizzo delle telecamere e sulla trasmissione sul web. Sarebbe da sconsigliare l’adozione di una decisione del genere “a maggioranza”, poiché, in assenza di un atto regolamentare non può disconoscersi la volontà diversa di un solo consigliere. In ogni caso, è da raccomandare di informare tutti i partecipanti alla seduta dei profili di responsabilità riguardo a eventuali affermazioni inopportune riferite a persone, in considerazione della decontestualizzazione delle riprese e dell’impossibilità di limitarne i destinatari. Non si potrà negare, quindi, se richiesto, che le riprese vengano interrotte nel caso in cui alcuni argomenti lo richiedano.
  • lo smart working o “lavoro agile”. La prescrizione sulla promozione del lavoro agile era già contenuta nella legge 124/2015 che all’articolo 14 recava: Le amministrazioni pubbliche, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, adottano misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro e per la sperimentazione… ad almeno il 10 per cento dei dipendenti.”. L’occasione della ricerca di misure di profilassi è stata propizia per l’emanazione della circolare n.1/2020, del Ministro per la Pubblica Amministrazione che annunciando la definitiva chiusura della fase sperimentale, invita le pubbliche amministrazioni a promuovere le forme di “lavoro agile”, anche attraverso sistemi di incentivazione di tipo premiale. Certamente si tratta di un’importante occasione che però richiede la “trasformazione” delle modalità di organizzazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Il lavoro nelle P.A., infatti, a anche a seguito di alcuni interventi dissennati, si fonda ancora sulla “presenza in servizio” e sull’adempimento formale. L’attuazione dello smart working, finalmente, prevede, invece, l’adozione di sistemi di utilizzo del personale in modo razionale e non necessariamente compresente. Ma non si può nascondere che tale forma di lavoro, benché sia da auspicare, può comportare problematiche applicative: innanzitutto sulla capacità o possibilità di trasferire ogni attività nella forma telematica; poi sulla complessità di assegnare “compiti specifici” ai dipendenti nei contesti in cui prevalgono situazioni emergenziali; ancora nella oggettiva impossibilità di escludere il rapporto con il cittadino in modo assoluto. Sono tutte questioni che si possono risolvere, ma rimane da affrontare, mi si consenta, un ultimo punto: poiché l’attivazione del “lavoro agile” potrà consentire a qualcuno di sottrarsi agli impegni lavorativi, si dovranno attivare sistemi di controllo reali e … sperare che nessuno venga ritenuto “in conflitto” perchè ha concesso di lavorare in modo agile a un dipendente che “frequentava abitualmente”. Forse è davvero il caso di fare prevalere la funzionalità al sospetto e preferire la sostanza alla forma, per esempio, con l’attivazione di controlli effettivi sulle attività svolte e sui risultati conseguiti. E (mi si consenta) sarebbe il caso che a prescrivere le modalità organizzative non siano i “soliti esperti” (che magari non hanno mai diretto un ufficio), ma qualcuno che abbia esperienza concreta e autentica professionalità.

 

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